La depurazione e la sanificazione dell’aria indoor

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Autore

Aldo Fumi – VORTICE Marketing Director

Perché depurare l’aria negli ambienti confinati?

La qualità dell’aria che respiriamo è fondamentale per il nostro benessere e la nostra salute; possiamo sopravvivere per settimane senza mangiare, per giorni senza bere, ma solo pochi minuti senza respirare. Più bassa è la concentrazione di allergeni, microorganismi patogeni e inquinanti chimici che respiriamo, minore è il rischio di contrarre allergie o malattie.
Gli effetti sulla nostra salute dell’inquinamento dell’aria che respiriamo si possono manifestare a breve come pure a lungo termine, a seconda della risposta del ns. organismo; alcuni di noi sono infatti molto più sensibili di altri agli agenti inquinanti: i neonati ed i bambini in tenera età, gli anziani e le persone affette da asma, malattie polmonari o cardiopatie di norma soffrono in misura maggiore gli effetti dell’inquinamento dell’aria. In tutti i casi, l’entità dei danni provocati dall’inquinamento ambientale dipende dalla durata dell’esposizione e dalla concentrazione delle sostanze inquinanti: nel breve termine possiamo accusare reazioni allergiche, infezioni oculari (la congiuntivite), irritazioni alle vie respiratorie, bronchiti, polmoniti, mal di testa e nausea, difficoltà respiratorie, reazioni cutanee ed attacchi d’asma. Esposizioni prolungate possono invece indurre malattie respiratorie croniche, cardiopatie, cancro ai polmoni, danni cerebrali e neurologici nonché agli organi interni, in primis i reni e il fegato.

Tra i principali inquinanti presenti nell’aria di ambienti confinati meritevoli di menzione sono:

  • gli agenti organici, come i VOC – Volatile Organic Compounds, rilasciati da pitture, sigillanti e pannelli di rivestimento, e gli IPA – Idrocarburi Policiclici Aromatici, associati alla combustione di materiali organici.
  • Le fibre inorganiche, comunemente usate nei materiali da costruzione, come la fibra di vetro e la lana di roccia.
  • il Radon, un gas radioattivo spesso presente nel sottosuolo e che si può trovare in materiali da costruzione quali il cemento, i mattoni, i graniti, etcc…
  • Il microparticolato (PM), rilasciato dai principali organi dei veicoli (motore, freni, pneumatici), prodotto dalla trasformazione di combustibili fossili, dai fuochi alimentati a legna, dal fumo del tabacco, dai processi di cottura, come pure dal funzionamento di apparecchiature quali le fotocopiatrici.
  • Le spore, i pollini, gli acari della polvere e gli allergeni degli animali domestici.

I microrganismi, quali batteri, funghi, parassiti e virus.

Inadeguati livelli di qualità dell’aria rappresentano un serio problema per la salute pubblica, con gravi ripercussioni economiche e sociali.
La depurazione dell’aria negli ambienti confinati assicura, unitamente ad un’adeguata ventilazione, indispensabile a garantire il costante apporto di ossigeno essenziale per un corretto metabolismo, il mantenimento delle concentrazioni di inquinanti al di sotto delle soglie di sicurezza.

Come si depura l’aria?

La depurazione è il processo atto ad eliminare da liquidi e gas sostanze estranee o inquinanti. Nel caso dell’aria la depurazione si può realizzare per centrifugazione, per lavaggio o per filtrazione.

La depurazione per centrifugazione, diffusa nei laboratori e in ambito industriale, sfrutta l’accelerazione centrifuga per separare corpi caratterizzati da diverse densità.

Il lavaggio, anch’esso largamente impiegato in ambito industriale, ad esempio negli impianti chimici, presuppone il ricorso ad un liquido assorbitore che viene miscelato all’aria da depurare sfruttando le perdite di carico localizzate indotte da un moto turbolento. Al termine del processo il liquido arricchito degli inquinanti in precedenza dispersi nell’aria condensa e precipita sul fondo del dispositivo, mentre l’aria depurata viene aspirata all’esterno.

La depurazione per filtrazione, la più diffusa in contesti residenziali, può essere di tipo meccanico o elettrostatico: in entrambi i casi si sfrutta il moto laminare del flusso da filtrare, la cui portata risulta direttamente proporzionale alla forza motrice (la pressione esercitata dalla ventola nel caso di un comune depuratore domestico), che lo determina ed inversamente proporzionale alle resistenze che si oppongono al moto, a loro volta funzione della geometria e della natura del sistema filtrante.

Nel caso di filtrazione meccanica, il mezzo filtrante viene scelto in funzione del tipo e della qualità di filtrazione richiesta; ne esistono numerose varianti: carta (generalmente costituita da nitrocellulosa), tessuti non tessuti (poliestere, polipropilene, fibra di vetro, fibre aramidiche), reti e tele metalliche.

Caratteristiche distintive di un mezzo filtrante sono:

  1. la porosità, che determina le dimensioni delle particelle che il mezzo è in grado di catturare: filtri a bassa porosità trattengono particelle di dimensioni ridotte, a scapito peraltro di una riduzione della velocità, e quindi della portata, del flusso da depurare;
  2. la ritentività, caratteristica opposta alla porosità; minore la ritentività, più bassa la capacità del filtro di trattenere particelle di dimensioni ridotte;
  3. la velocità di attraversamento, che indica il tempo impiegato dal fluido per attraversare il filtro.

Le tre caratteristiche sono tra loro collegate: un filtro “rapido” è solitamente caratterizzato da bassa ritentività ed alta porosità, mentre uno “lento” ha, di norma, proprietà opposte.

Come funziona un filtro meccanico

Il flusso d’aria, attraversando il filtro, si scompone; le particelle in esso sospese subiscono numerosi cambi di direzione fino ad essere intrappolate per effetto di uno o più dei meccanismi di seguito elencati:

  • Cattura per intercettazione: è legata alla carica elettrica delle particelle di diametro compreso tra 1 e 3 micron, che vengono catturate dalle fibre del filtro quando passano a una distanza inferiore al loro diametro.
  • Impatto: le particelle di massa proporzionalmente elevata posseggono un’energia cinetica che permette loro di mantenere la traiettoria originale, senza seguire l’andamento dei micro-flussi; ciò le porta a collidere con le fibre del filtro, aderendovi.
  • Cattura per diffusione: questo fenomeno caratterizza le particelle di dimensioni minori, dell’ordine del decimo di micron, che si comportano come un gas. La loro traiettoria, per effetto dei moti browniani, non coincide con quella del flusso d’aria, ma oscilla intorno ad essa con un movimento tanto più ampio quanto più piccole sono le particelle, che vengono catturate per effetto elettrostatico. La capacità di ritenzione del filtro aumenta al diminuire delle dimensioni delle particelle.
  • Setacciatura: si realizza quando il diametro delle particelle è più grande della distanza che intercorre fra le fibre del filtro, così che l’attraversamento ne risulta impedito. Le particelle più grosse si depositano sui primi strati del filtro mentre quelle più minute possono passare agli strati più interni.

Come funziona un filtro elettrostatico

I principali componenti di un filtro elettrostatico sono:

  • gli elettrodi di raccolta, solitamente costituti da piastre o elementi tubolari;
  • gli elettrodi di scarica (o di emissione), di forma filiforme;
  • il gruppo di alimentazione, costituito da un trasformatore e da un raddrizzatore, che genera le elevate tensioni richieste al processo (dai 30 ai 100kV).

Il funzionamento di un filtro elettrostatico si basa sulla differenza di potenziale indotta tra gli elettrodi di scarica e di raccolta: il forte campo elettrico conseguentemente indotto in prossimità degli elettrodi di scarica provoca la ionizzazione del gas (vettore delle particelle contaminanti), inducendo quello che va sotto il nome di “effetto corona”. Gli ioni tendono a spostarsi dalla zona di corona verso gli elettrodi di raccolta, entrando in collisione con le particelle di contaminante in sospensione e cedendo loro una carica elettrica (ogni particella può essere caricata dall’azione di più ioni, fino a raggiungere elevati livelli di carica). Le polveri elettricamente caricate vengono quindi attirate verso gli elettrodi di raccolta, dove sono trattenute per essere successivamente rimosse. In uscita si ha quindi un flusso d’aria sostanzialmente privo di contaminanti.

Le caratteristiche principali dei filtri elettrostatici sono le elevate efficienze di rimozione ( >90% anche per granulometrie molto fini), e la possibilità di recuperare i contaminanti in fase solida. Nelle applicazioni residenziali il vantaggio fondamentale dei filtri elettrostatici è rappresentato dai ridotti costi di esercizio, legati alla possibilità rigenerarne i componenti, di norma mediante aspirazione o lavaggio, senza sostenere i costi delle periodiche sostituzioni richieste dai tradizionali filtri meccanici.

I filtri ai carboni attivi

I filtri ai carboni attivi sono spesso utilizzati negli apparecchi per la depurazione dell’aria in virtù della loro capacità di assorbire allergeni e inquinanti causa di cattivi odori; il loro funzionamento si basa sul principio dell’adsorbimento, un fenomeno riconducibile all’attrazione molecolare esercitata da forze deboli, comunemente note come forze di Van der Waals, grazie alle quali i composti organici presenti nell’aria reagiscono chimicamente con il carbone, aderendo sulla sua superficie; più estesa la superficie del carbone, maggiore la capacità adsorbente.

I carboni attivi sono materiali porosi, di colore nero, si possono trovare in forma di polvere o granuli; quelli più comunemente utilizzati nei sistemi di depurazione dell’aria sono solitamente di origine vegetale. Vengono ottenuti a partire da materiale organico riscaldato a temperature inferiori ai 700°C in assenza d’aria; tale processo determina un’elevatissima porosità, corrispondente ad una superficie particolarmente estesa, anche superiore a 500 m2 per grammo, caratteristica questa che conferisce ai carboni attivi capacità adsorbenti largamente superiori a quelle del carbone tradizionale.

I filtri ai carboni attivi sono impiegati, spesso in abbinamento a filtri meccanici o elettrostatici ad alta capacità di ritenzione, per rimuovere gli odori sgradevoli, i prodotti chimici comunemente utilizzati per la pulizia dei locali e dei servizi, il benzene e altri VOCs, così che l’aria permanga fresca e pulita; dal loro impiego possono trarre particolari benefici quanti soffrono di allergie, di asma o di disturbi respiratori, così come i fumatori o chi vive loro accanto.

Gli ionizzatori

In aggiunta ai tradizionali filtri, meccanici o elettrostatici, i depuratori sono spesso equipaggiati di sistemi di filtraggio basati sulla tecnologia della ionizzazione negativa, efficace in termini di abbattimento degli odori e del microparticolato fine, il più dannoso per la salute allorché inalato.  Gli ioni negativi si legano alle particelle in sospensione (micropolveri, aromi, fumo, pollini e batteri) e le caricano elettrostaticamente, favorendone la ricaduta e così migliorando la qualità dell’aria ambiente.

Spesso, nei depuratori il processo di ionizzazione è selezionabile dall’utente (i prodotti possono cioè funzionare anche prescindendo da tale funzione), per limitare gli effetti negativi di tale tecnologia, riassumibili nella tendenza delle impurità a depositarsi sulle superfici del locale, ingenerando il classico fenomeno della cornice scura in corrispondenza di quadri e mobili addossati alle pareti del locale.

La classificazione dei filtri

L’efficienza dei filtri dell’aria è classificata secondo due norme:

  • EN ISO 16890, valida per filtri di ventilazione generale.
  • EN 1822, efficace per filtri EPA (Efficiency Particulate Air), HEPA (High Efficiency Particulate Air) e ULPA (Ultra-Low Particulate Air).

La norma EN ISO 16890 esprime la capacità filtrante in termini di percentuale di ritenzione del microparticolato PM10 (dimensioni inferiori a 10 micron, pari a 0,01 mm), PM2.5 (dimensioni inferiori a 2,5 micro, corrispondenti a 0,0025 mm) o PM1 (dimensioni inferiori a 0,001 mm). La norma EN 1822 indica invece la capacità filtrante di microparticolato di dimensioni nominali pari a 0,3 micron, pari a 0,0003 mm), come evidenziato nella tabella qui di seguito riportata:

MPPS = Most Penetrating Particle Size – dimensione della particella più penetrante

 

Al di là della classificazione sopra indicata, la disposizione delle maglie dei filtri EPA, HEPA e ULPA permette comunque la cattura di particelle di dimensioni inferiori agli 0,3 micron utilizzate nei test.

I depuratori sono efficaci contro il coronavirus causa di COVID-19?

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) la gran parte degli agenti patogeni causa di malattie si trasmettono da persona a persona per via aerea o per contatto. La trasmissione per via aerea si realizza attraverso vettori quali goccioline (droplets), di dimensioni medie superiori a 5 micron, che possono permanere in sospensione nell’aria per pochi minuti, e aerosol, grandi tra 2 e 5 micron, capaci di fluttuare per periodi superiori, funzione delle dimensioni e delle condizioni ambientali. Un altro possibile vettore sembra essere, secondo alcune ipotesi tuttora oggetto di verifica, il microparticolato (PM) presente nell’aria.

I più recenti studi condotti sul coronavirus SARS-COV-2, causa della pandemia COVID-19, le cui dimensioni medie sono comprese tra 0,1 e 0,16 micron, individuano nella trasmissione per via aerea la principale fonte di contagio*. Droplets e aerosol prodotti da colpi di tosse, da starnuti, dal respiro, come pure dagli sciacquoni delle toilette e da alcune procedure mediche, una volta immessi in ambiente, prima di decadere conservano una carica infettiva per tempi che possono raggiungere diverse ore, contaminando nel frattempo superfici ed oggetti e creando così le premesse, venendo a contatto con occhi, naso e bocca, per la diffusione del contagio.

Depuratori equipaggiati di filtri assoluti sono in grado di trattenere percentuali particolarmente elevate delle particelle presenti nell’aria trattata di dimensioni <= 0,3 micron; erigono così un’efficace, seppur non assoluta, barriera nei confronti dei vettori attraverso cui il virus in parte si propaga. L’uso di tali tipologie di depuratori consente quindi di ridurre la concentrazione del virus presente in ambiente, limitando i rischi di infezione.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) la gran parte degli agenti patogeni causa di malattie si trasmettono da persona a persona per via aerea o per contatto. La trasmissione per via aerea si realizza attraverso vettori quali goccioline (droplets), di dimensioni medie superiori a 5 micron, che possono permanere in sospensione nell’aria per pochi minuti, e aerosol, grandi tra 2 e 5 micron, capaci di fluttuare per periodi superiori, funzione delle dimensioni e delle condizioni ambientali. Un altro possibile vettore sembra essere, secondo alcune ipotesi tuttora oggetto di verifica, il microparticolato (PM) presente nell’aria.

I più recenti studi condotti sul coronavirus SARS-COV-2, causa della pandemia COVID-19, le cui dimensioni medie sono comprese tra 0,1 e 0,16 micron, individuano nella trasmissione per via aerea la principale fonte di contagio*. Droplets e aerosol prodotti da colpi di tosse, da starnuti, dal respiro, come pure dagli sciacquoni delle toilette e da alcune procedure mediche, una volta immessi in ambiente, prima di decadere conservano una carica infettiva per tempi che possono raggiungere diverse ore, contaminando nel frattempo superfici ed oggetti e creando così le premesse, venendo a contatto con occhi, naso e bocca, per la diffusione del contagio.

Depuratori equipaggiati di filtri assoluti sono in grado di trattenere percentuali particolarmente elevate delle particelle presenti nell’aria trattata di dimensioni <= 0,3 micron; erigono così un’efficace, seppur non assoluta, barriera nei confronti dei vettori attraverso cui il virus in parte si propaga. L’uso di tali tipologie di depuratori consente quindi di ridurre la concentrazione del virus presente in ambiente, limitando i rischi di infezione. [Fonte: Informazioni scientifiche e tecniche sulla malattia di Coronavirus, COVID-19 (aggiornamento; 4 aprile 2020) del Ministero della Sanità Spagnolo, pagina 11, al punto 2.1].

Come scegliere un depuratore?

Nella scelta di un depuratore occorre tener presenti quattro elementi fondamentali: la natura degli inquinanti in esso presenti, il tasso di inquinamento dell’ambiente e le sue dimensioni, che determinano l’efficacia e la rapidità dell’azione depurativa, e la sua destinazione d’uso. Per risultare efficace un depuratore deve:

  • essere equipaggiato di filtri in grado di trattenere con efficacia gli inquinanti;
  • essere progettato e costruito in modo da evitare i trafilamenti e così assicurare che tutta l’aria trattata venga effettivamente filtrata;
  • montare un ventilatore sufficientemente potente da trattare una portata d’aria adeguata alle dimensioni dell’ambiente di destinazione, per assicurarne l’effettiva depurazione;
  • permettere la regolazione della portata d’aria trattata: un depuratore, per risultare realmente efficace, non può essere del tutto silenzioso. Prodotti reclamizzati sulla base di questa caratteristica sono spesso poco efficaci, o perché equipaggiati di filtri di ridotta capacità ritentiva, o perché muniti di ventole poco performanti. La possibilità di impostare su più livelli la portata d’aria trattata assicura l’iniziale rapido abbattimento della carica inquinante presente in ambiente ed il successivo mantenimento dei livelli di qualità dell’aria adeguati a garantire la salute ed il comfort degli occupanti.

La durata media dei filtri montati in un depuratore

La durata dei filtri in un depuratore dipende da tre fattori:

  • le ore di utilizzo;
  • la portata d’aria trattata;
  • la concentrazione di inquinanti presenti nel locale.

Ciò premesso, indicare a priori una durata media (3 mesi? 6 mesi? 1 anno?) dei filtri, prescindendo dalla valutazione dei tre fattori sopra esposti è improprio e fuorviante. 

La presenza, nei depuratori equipaggiati di filtri meccanici, di sistemi di filtraggio multistadio, caratterizzati da capacità ritentiva via via crescente, permette di ottimizzare la durata dei filtri di classe superiore, prevenendone una troppa rapida occlusione, con conseguenti evidenti risparmi sui costi di gestione del prodotto.

Spesso i depuratori integrano un sistema di monitoraggio dello stato dei filtri che segnala la sopravvenuta necessità di provvedere alla loro pulizia / sostituzione per ottimizzarne lo sfruttamento, evitando spese ingiustificate e con la certezza del corretto, efficace funzionamento del prodotto.

La sanificazione dell’aria negli ambienti confinati 

Detto dei principali sistemi utilizzati per la depurazione dell’aria negli ambienti confinati, si impone qui di operare una differenziazione tra i concetti di “depurazione” e di “sanificazione”. Se infatti un depuratore è in grado di ripulire, in misura più o meno grande, l’aria dagli inquinanti e gli allergeni in essa presenti, la sua azione non è peraltro sufficiente a neutralizzarne la carica patogena, che può permanere attiva anche per giorni una volta depositata all’interno dei filtri o sulle superfici che catturano o su cui si depositano i vettori che la trasportano.
Interessante in tal senso il “Rapporto ISS COVID-19 • n. 5/2020 Rev. 2. Indicazioni ad interim per la prevenzione e gestione degli ambienti indoor in relazione alla trasmissione dell’infezione da virus SARS-CoV-2”, redatto dall’Istituto Superiore di Sanità Italiano. Nel testo si dice che:

“sebbene non sia al momento dimostrato che la trasmissione del virus derivi direttamente dal contatto con oggetti di uso comune sui quali esso si è depositato, esistono evidenze che virus appartenenti allo stesso gruppo, come il virus della SARS e il virus della MERS, possono persistere su superfici inanimate fino a 9 giorni in funzione del materiale su cui si vengono a trovare, della quantità di fluido biologico e della concentrazione virale iniziale, della temperatura dell’aria (es. ad una temperatura superiore di 30°C la persistenza risulta minore) e dell’umidità relativa, anche se ad oggi non è stata dimostrata la loro capacità infettiva. Dati più recenti relativi al virus SARS-CoV-2 confermano che su plastica e acciaio inossidabile, in condizioni sperimentali, il virus ha analoghe capacità di permanere rispetto al virus della SARS (SARS-CoV-1), mostrando comunque un decadimento esponenziale del titolo virale nel tempo (la metà delle particelle virali non erano più infettive dopo poco più di un’ora). In condizioni controllate di laboratorio (es. con un tasso di umidità relativa del 65%), il virus sembra possa essere rilevato per periodi inferiori alle 3 ore su carta (da stampa e per fazzoletti), fino a un giorno su legno e tessuti, due giorni su vetro, e per periodi più lunghi (4 giorni) su superfici lisce quali acciaio e plastica, persistendo fino a 7 giorni sul tessuto esterno delle mascherine chirurgiche”.

Per ovviare al problema sono disponibili sul mercato dispositivi, in alcuni casi integrati in apparecchi per la depurazione, capaci di neutralizzare batteri, virus ed altri agenti patogeni, inibendone la diffusione. I più comuni in ambito residenziale e commerciale si basano sull’ozono, sulla fotocatalisi e sulla radiazione ultravioletta.

L’Ozono

L’ozono (O3) è un agente ossidante prodotto dalla trasformazione, indotta da scariche elettriche ad alta tensione, tipiche quelle dei fulmini durante un temporale, di molecole di ossigeno, secondo la formula: 3O2 => 2O3.  

Caratteristico dell’ozono è il cattivo odore, che richiama quello dell’aglio e che ne ha originato il nome, derivante dal greco ὄζειν, “puzzare”.

L’efficacia dell’ozono nei confronti di spore, funghi, batteri e virus è da tempo nota; per questo viene comunemente utilizzato nei processi di sterilizzazione di superfici e nella disinfezione di derrate alimentari, flussi d’aria e acque. La FDA (Food and Drug Administration), l’ente governativo statunitense di regolamentazione dei prodotti alimentari, ha convalidato la compatibilità dell’impiego dell’ozono con le attività umane. In Italia, il Ministero della Salute, con protocollo n.24482 del luglio 1996, ha riconosciuto l’ozono come Presidio Naturale per la Sterilizzazione di Ambienti.

Se inalato in quantitativi elevati l’ozono può avere effetti negativi sulla salute, dalle irritazioni della membrana mucosa, alle emicranie, alla diminuzione della capacità polmonare, alle malattie polmonari. Per scongiurare tali rischi i regolamenti indicano in 0,06 ppm (parti per milione) il valore limite, espresso dalla sigla MAC (Maximum Allowed Concentration – Concentrazione Massima Ammissibile), del tasso di ozono a cui un essere umano può essere esposto senza pericolo per un periodo prolungato, fissato pari a 8 h/giorno per 5 gg/settimana. Tale limite cresce a 0,3 ppm per esposizioni ridotte a 15 minuti.

Nel complesso, apparecchi che sfruttano la capacità di sanificazione dell’ozono sono particolarmente indicati per l’impiego in ambienti e locali in assenza di essere viventi, avendo cura di subordinare il successivo accesso agli occupanti ad un’efficace preventiva eliminazione dell’ozono, ad esempio mediante un opportuno arieggiamento.

La Fotocatalisi

La fotocatalisi è un fenomeno naturale che si realizza in presenza dei raggi ultravioletti del sole, dell’umidità presente nell’aria e di alcuni metalli nobili. La combinazione di questi tre fattori determina il rilascio di ioni ossidanti capaci di neutralizzare la maggior parte degli agenti patogeni presenti nell’aria e potenzialmente pericolosi per la salute.

I più comuni moduli di fotocatalisi, talora utilizzati all’interno di apparecchi di depurazione, riproducono il processo naturale grazie all’azione di una lampada, solitamente del tipo a luce ultravioletta (UV) che, illuminando un catalizzatore realizzato in una speciale lega (quella più comunemente utilizzata è a base di biossido di titanio – TiO2), innesca il rilascio di radicali liberi OH* la cui azione, fortemente ossidante, è alla base del processo di sanificazione: inquinanti atmosferici come l’anidride carbonica (CO2), gli ossidi di zolfo (SOx), gli ossidi di azoto (NOx), il monossido di carbonio (CO) e gli Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA), vengono trasformati in composti caratterizzati da livelli di tossicità fortemente ridotti, come nel caso del monossido (NO) e del biossido (NO2) di azoto, che vengono convertiti in NO3.

Analogamente, i VOCs, categoria di composti cui appartengono, tra gli altri, la formaldeide e l’acetone, tra i principali responsabili dei cattivi odori negli ambienti chiusi, vengono decomposti e trasformati in sostanze innocue, come la CO2 e l’acqua.

Nel caso di microorganismi patogeni quali batteri e virus, l’effetto dell’azione ossidante è il danneggiamento del rivestimento protettivo esterno, che ne determina la morte.

La radiazione UV-C

Con il termine di “radiazione ultravioletta” (UV) si identifica l’intervallo della radiazione elettromagnetica, caratterizzata da lunghezza d’onda comprese tra 100 e 400 nm (nanometri), immediatamente inferiore alla luce visibile dall’occhio umano e immediatamente superiore a quella dei raggi X.

La radiazione UV viene comunemente suddivisa in 3 bande, corrispondenti a diversi range di lunghezze d’onda, secondo lo schema qui di seguito riassunto:

  • UV-A (400-315 nm)
  • UV-B (315-280 nm)
  • UV-C (280-100 nm)

La più importante sorgente naturale di radiazioni UV è sicuramente il sole, per effetto della trasformazione in energia radiante dell’ energia termica prodotta dalle reazioni chimico – nucleari che avvengono al suo interno e sulla sua superficie. L’atmosfera filtra peraltro una percentuale elevata di tali radiazioni, che arrivano a noi fortemente attenuate, in misura diversa a seconda della loro tipologia: la superficie terreste è di norma raggiunta da oltre la metà dei raggi UV-A, da un 15% – 20% dei raggi UV-B, mentre la pressoché totalità dei raggi UV-C, i più pericolosi per la salute a causa dell’elevato contenuto energetico, viene filtrata negli strati più alti dell’ atmosfera.
La scoperta, nella seconda metà del XIX secolo, delle proprietà sterilizzanti della luce ultravioletta che, modificando il DNA o l’RNA dei microorganismi (muffe, batteri, virus, …), ne impedisce la riproduzione rendendoli così inoffensivi, motiva l’odierna produzione di lampade germicide, capaci di emettere radiazioni UV-C con lunghezza d’onda pari a 253,7 nm, principalmente impiegate per disinfettare le superfici, sanificare le forniture d’acqua e depurare i flussi d’aria.
Meritevoli di menzione a questo proposito sono i test condotti irradiando con raggi UV-C colture tissutali di SARS-CoV-1, il virus causa dell’epidemia SARS, parente stretto del virus SARS-CoV-2 responsabile della pandemia COVID-19: i risultati raggiunti hanno evidenziato come i virus venissero efficacemente disattivati in 40 minuti ca.
L’efficacia di una radiazione UV-C contro i microorganismi patogeni è direttamente proporzionale alla sua intensità. Tale grandezza, corrispondente al prodotto dell’intensità della radiazione per il tempo di esposizione, è solitamente espresso in termini di microWatt per secondo a centimetro quadrato: [µW·s/cm2].

Precauzioni da rispettare installando ed utilizzando apparecchi che sfruttano la radiazione UV-C

La natura mutagena e cancerogena della luce ultravioletta di tipo UV-C impedisce l’uso di prodotti che la irradiano in ambiente in presenza di persone o animali: oltre a causare scottature e, col tempo, il cancro della pelle, le radiazioni UV-C possono produrre infiammazioni della cornea dell’occhio estremamente dolorose, causa di temporanea o permanente diminuzione della vista; allo stesso modo, possono arrivare a danneggiare la retina; il pericolo è proporzionale al tempo di esposizione. Per tali ragioni, nella progettazione di un impianto di sanificazione che sfrutti tale radiazione è opportuno prevedere l’installazione, in serie alla lampada, di dispositivi di protezione (rilevatori di presenza, timer, blocchi porte, segnaletica luminosa, etcc…), ad azionamento automatico ed in numero sufficiente ad assicurare la totale copertura dell’ambiente, in modo da prevenire ogni rischio di esposizione accidentale ai raggi UV-C. 

Inoltre, la radiazione UV-C è in grado di rompere i legami chimici dei composti plastici e della gomma; è quindi opportuno evitare l’esposizione alla radiazione di particolari realizzati in questi materiali (un rivestimento realizzato mediante un semplice foglio di Al o altro metallo è in tal senso sufficiente).

 

Autore

Aldo Fumi – VORTICE Marketing Director

Ingegnere meccanico. Dopo un periodo speso come ricercatore al Politecnico di Milano ed alcune esperienze in campi diversi, nel 1998 si unisce a VORTICE Spa. Prima come Direttore Tecnico e adesso come Leader del team di Marketing, si occupa di promuovere soluzioni per una ventilazione efficiente ed efficace, per il benessere delle persone.

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